venerdì 17 dicembre 2010

Percepire il cambiamento climatico

Direi che partiamo con un tema "soft" per inaugurare questo piccolo spazio :)

Quando si parla di riscaldamento globale regna ben poca chiarezza tra i non addetti ai lavori, i cittadini qualsiasi come me. A un primo stadio c'è il bivio tra scettici e "credenti": al di là di quelli che hanno consapevolezza che il problema è reale e impellente, troviamo non poche persone che negano il fenomeno. Queste ultime sono probabilmente il retaggio di una scaltra disinformazione politica. Al proposito leggete questo post

Da pochi giorni è uscito un piccolo volume che vuole far chiarezza su un tema così delicato e indirizzare i lettori verso una maggiore comprensione del dibatitto in corso ormai da più di un decennio. Rimando al blog di Pasini sul Sole24Ore, del quale cito un passaggio:
Tanti mi chiedono: "A chi devo credere? A chi dice che la fine del mondo è vicina o a chi afferma che non sta succedendo niente?". Dato che si tratta di problemi scientifici, non si tratta ovviamente di "credere" più o meno fideisticamente a qualcosa o a qualcuno, ma di valutare le informazioni scientifiche che vengono dal mondo della ricerca senza farsi "sballottare" tra le opinioni più varie e spesso totalmente contrapposte.
Tra quelli, invece, che hanno intuito la gravità del problema si pone un'altra distinzione piuttosto netta: parliamo di passivi e attivisti. Gli attivisti sono una ristretta minoranza, sono coloro che didicano tempo e risorse per un'azione proattiva di pressione, a volte anche molto forte, come gli adepti di Greenpeace, che si mobilitano in modo simbolico e "plateale". I passivi siamo noi. Non sfidiamo il sistema, non usciamo da casa a perdere il nostro prezioso tempo in modo proattivo, seguiamo il dibattito e abbiamo coscienza del problema, ma le nostre azioni, al più, si limitano alla raccolta differenziata, a piccoli gesti quotidiani di rispetto per la natura, nei casi maggiori ad acquistare automobili meno inquinanti..

A questo punto mi chiedo: perchè una questione così prioritaria, direi fondamentale per la storia dell'umanità e della sopravvivenza delle generazioni future, è quasi schivata dal grande pubblico, non è fonte di discussione, di confronto e perchè no di "competizione proattiva" sui temi ambientali?

Una spiegazione interessante arriva dal David Ropeik, in questo articolo, il quale afferma che il principale ostacolo all'emergere di una coscienza climatica forte, che si ripercuota anche in azioni, è la mancata percezione dei rischi:
- nessuno è in grado di percepire un'impatto tangibile sulla propria vita nell'arco di un decennio;
- nell'immaginario collettivo non si è ancora creata una "simbologia" un richiamo mentale, come può essere per altre catastrofi naturali che i media ci sbattono in prima pagina: alluvioni, terremoti, uragani. Seppure questi eventi sono una conseguenza dello scenario in atto, manca un collegamento mentale alla "big picture", come se si trattasse di eventi casuali e isolati.
- mancanza di controllo su questa tipologia di rischi: troppo astratti, troppo "macro" per poter avere un risvolto nella vita di tutti i giorni.

Più avanti proverò ad approfondire alcuni di questi aspetti, cercando di comprendere se e come la coscienza collettiva in merito alle questioni ambientali potrà allargarsi.

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